La morte fa sempre paura, ma è soprattutto lo scorrere degli anni che crea quell’incredibile disagio chiamato “dubbio”, il dubbio che ci separa da ciò che per noi è incontrollabile.
Su questo tema, Pino Ammendola, ha scritto e diretto un testo che argomenta tra cinema, finzione e realtà lo scorrere del tempo, attraverso il racconto asciutto, ma allo stesso non privo di divertenti trovate del suo alter ego, cui ha dato il testimone per sviscerare la sua storia.
“L’incredibile caso di Beniamino Todiscus” sembra prendere spunto dal film “ Il curioso caso di Benjamin Button”, ma qui non c’è Brad Pitt, ma Marco Todisco, figlio prediletto di Enrico Brignano sul palcoscenico e nelle fiction da lui interpretate, che si fa dirigere con maestria dal suo secondo mentore.
Un po’ “Forrest Gump” e un po’ “Benjamin”, Beniamino si isola dalla pazza folla per narrare il suo percorso nel tempo, tra guerre, episodi sociali e sentimentali che ci riportano ad un trascorso caro e nefasto delle nostre esistenze o di quelle dei nostri avi.
Dietro alla sua figura un tavolo con dei nomi illustri, quasi un preludio ad una conferenza annunciata, ma non certa.
Marco Todisco affronta la scena con padronanza, mettendosi in luce per 90 minuti,
non avendo alcuna esitazione nell’affrontare argomenti spinosi e dialoghi articolati.
Un sedicenne talentuoso che Pino Ammendola ha saputo portare alla ribalta con senso della misura e della generosa esternazione di un copione complesso, ma diverso dal solito.
A tratti la personalità del regista/autore emerge, ma è pressoché normale l’egocentrismo di un demiurgo.
Colpo di scena finale , dove tutto quello che è evocato non è frutto di un sogno, ma di una fantasia molto sviluppata che carpisce da varie situazioni il suo nutrimento vitale.
In scena nella parte finale dello spettacolo, anche Giorgio Gobbi, bravissimo nel vivacizzare il “coup de theatre”. Si replica fino al 23 novembre al Teatro dei Conciatori.