“Al Teatro dei Satiri: Prima di fare l’amore”

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Di Paola Aspri Marco Falaguasta come non lo avete mai visto, avulso dalla sua compagnia “Bona la prima” e per la prima volta in un monologo dove può esprimere la sua verve. In “Prima di fare l’amore” di Alessandro Mancini e dello stesso Falaguasta, il protagonista si mette a nudo andando a ritroso nel tempo, complice un luogo affollato come una palestra, dove però ritrova verso l’ora di chiusura l’atmosfera adatta per confidarsi con se stesso, riproponendo squarci di memoria sentimentale che evocano la fragilità di adolescente e di giovanissimo uomo. L’armadietto è il posto dove tiene foto, locandine, trofei della sua carriera di attore, la sua nicchia preferita, dove poter attingere indizi della sua vicenda. Falaguasta si racconta senza trucco e senza inganno di fronte ad una platea che si diverte con i siparietti dei suoi clamorosi flop sentimentali, quando era più che un quattordicenne alle prese con i bollenti spiriti e con l’audacia giovanile che andava a sfogare in una pasticceria romana, trasformandosi in un ragazzo cicciotello a cui neanche una ragazzina avrebbe dato peso… A rendere grande quell’epoca la musica degli anni “80” con i suoi beniamini che  Marchetto (così si etichetta in scena), ripropone come modelli ideali per cercare di far breccia sulla bellissima Paola, stile provenzale, a cui anela trasformandosi in George Michael. Cosa si fa per amore e il giovanissimo Falaguasta spremendosi due chili di limoni sulla testa e sottoponendosi ad una seduta di otto ore sotto il sole diventa un angelo biondo. Ma Cuccureddu, il suo antagonista lo mette in difficoltà di fronte al suo oggetto del desiderio, chiedendogli di cantare il refrain di “Faith”, canzone che non esiste e che Michael scriverà due anni dopo (1987). Non mancano riferimenti ai giornalini dell’epoca al fantastico “Intrepido” e a quelli più hard come “Le ore” e “Playboy”, un buon vadecum del fai da te per i giovani aspiranti al sesso. I soldi erano pochi e non restava altro che raggirare il giornalaio per accaparrarsi l’ultimo numero de “Le ore”, arrivando a stratagemmi al cardiopalma. Fino a quando incontra Alice, sua moglie e compagna da più di 15 anni e diventa padrona della sua vita e dalla “cintola in giù”. Un divertente escursus e fotografia di anni particolari, vissuti in una Roma da sogno, ancora da svezzare come il suo protagonista che cerca spasmodicamente la ragazza dei suoi sogni e timidamente s’imbarca in situazioni imbarazzanti, chiedendo consiglio ad una sorella o a un cugino che anni prima aveva ricalcato le orme di “Fonzie” con il suo giubbotto di pelle skinhead. Marco Falaguasta sorprende per la sua inesauribile dinamicità nelle battute, mostrando una grinta in scena, come in palestra dove pratica pugilato, pratica evocata sul palcoscenico, come uno stile di vita da accompagnare alla sua esistenza professionale, fatta di ruoli da “Stronzo”, simpaticamente etichettati da lui per ricordare le parti interpretate. Falaguasta racconta così il suo incontro/scontro con il pubblico televisivo che se s’imbatte in un incontro fortuito lo guarda con diffidenza, rammentando le parti da cattivo nelle rinomate fiction (“Paura d’amare”, “Il bene e Il Male”). Ma tutto fa spettacolo e credibilità e anche la faccia da duro può dare innumerevoli soddisfazioni, tanto da far sviscerare in meno di due ore un buon bagaglio di esperienze, vissute tra “il bene e il male”. La regia è di Tiziana Foschi. Da vedere fino al 29 marzo al Teatro dei Satiri (Sala Grande).

 

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