Vincenzo Salemme con “Una festa esagerata” torna alla commedia d’impianto drammaturgico classico, mettendo in arte tutta l’inventiva e la capacità autorale di chi ha appreso dal grande Eduardo De Filippo la penna del mestiere e non solo. Salemme iniziò con il grande De Filippo ed è propria in questa pièce, che ha scritto pochi mesi fa ed è in scena al Teatro Sistina che ha dato il meglio di sé non tradendo i suoi affezionati e prendendo una fetta di pubblico, rimasta un po’ scettica dai suoi precedenti lavori, più vicino ad uno show che ha una commedia partenopea. Rimane sempre nel tessuto drammaturgico la vena sarcastica e di sberleffo dell’attore, regista e autore che coniuga la tradizione con le dinamiche ossessive delle personalità presenti. Infatti, Lucia e suo padre (che si scopre alla fine non esserlo) distruggono la vita del prossimo perché odiano la loro e a capitarci sotto, suo malgrado, è il povero Gennaro, padre di famiglia esemplare che tollera una moglie noiosa e conformista, ma che dice sempre di si anche se bofonchia contro una vita monotona. La trama ruota tutta intorno ad una festa per i 18 anni della figlia di Gennaro, ma un lutto nell’appartamento sottostante renderà tutto difficile fino ad un epilogo tragicomico che a sorpresa lascia tutti di stucco, specialmente lo spettatore. Ma ai colpi di scena con Vincenzo Salemme siamo abituati, rendono le sue commedie appetibili a tutte le generazioni e fanno riflettere non poco sulla società che viviamo. Il capocomico diventa così tra una risata e l’altra un esaminatore della realtà e ogni spettatore può rivedersi in ciascun carattere rappresentato. Bravissimi tutti da Nicola Acunzo nel ruolo del prete improbabile che emana detti inventati e strampalati, a Vincenzo Borrino, a Sergio D’Auria, a Antonio Guerriero, a Mirea Flavia Stellato, a Antonella Cioli, quest’ultima strepitosa nel dare vita ad una donna isterica e intossicatrice di vite altrui, a Teresa Del Vecchio, moglie perfetta e sciocchina a cui interessa l’apparenza e non la sostanza delle cose, a Giovanni Ribò, il morto che resuscita e che trasforma un personaggio in una macchietta napoletana inimitabile. Vincenzo Salemme è esagerato come la sua commedia ed è per questo che funziona in maniera magnifica e porta a termine uno spettacolo dove i paradossi sono di casa, ma fanno parte della realtà con un finale strappalacrime con la voce fuoricampo del suo grande maestro Eduardo che ripete “Te piace o presepe” (da “Natale in casa Cupiello”) chiudendo il sipario. Salemme sulla scena è un funambolo della parola e dirige gli altri senza sbavature. Le scene ben congegnate sono di Alessandro Chiti, i costumi di Francesca Romano Scudiero, le musiche di Antonio Boccia, il disegno luci di Francesco Adinolfi. Da vedere. Si replica al Teatro Sistina fino al 5 febbraio.
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