É in scena fino al 12 febbraio al Teatro Piccolo Eliseo di Roma, dopo una breve tournée in giro per l’Italia, lo spettacolo Lacci di Domenico Starnone, per la regia di Armando Pugliese, che vede come protagonisti principali Silvio Orlando e Vanessa Scalera. In questa pièce che mostra tutta la drammaticità che può esserci in una qualunque famiglia, il regista evidenzia cinque scene ben precise, per narrare una storia familiare borghese attuale. Il tempo passa, i protagonisti mutano abitudini e modi di vivere, ma in tutto ciò resta il dolore come costante di tutto ciò. A farne le spese, come sempre, sono sempre i figli.
La prima scena è ambientata in un interno borghese. All’apertura del sipario, un uomo (Silvio Orlando) è seduto in silenzio a leggere ben nove lettere. La moglie, Vanda, (Vanessa Scalera), dà voce a queste lettere recitando tutto ciò che ha scritto al marito che, dopo anni di matrimonio felice, all’improvviso ha lasciato moglie e figli per andare a vivere con una certa Lidia, una ragazza molto più giovane di lui e scoprire nuove sensazioni. Nella voce della moglie c’è rabbia, impotenza. Un monologo teso, violento, lungo dove la Scalera rende una grande prova d’attrice. Un monologo, perché il marito, Silvio Orlando, non risponderà mai a quelle lettere, non dando neppure prova di averle ricevute o lette. E’ il racconto in forma epistolare di un abbandono, della crisi di una famiglia messa in piedi da due giovani negli Anni 60, che dopo pochi anni di matrimonio hanno vissuto un decennio di cambiamenti dove essere sposati e con figli era sinonimo d’arretratezza. Questo ha fatto sì che il marito insofferente abbandonasse, senza preavvisi, famiglia e tetto coniugale.
Buio, con un gioco di luci e con una cascata dall’alto di suppellettili e di libri, per dar vita alla trasformazione, prende vita la seconda scena. L’interno è identico, ma la casa è a soqquadro, visitata dai ladri che hanno spaccato specchi, sparso libri sul pavimento, rotto vasi. Perfino il gatto, Labes, è sparito. Compare la stessa coppia che altro non sono che i due coniugi maturi (sono passati dalla prima scena circa trent’anni) che, al rientro delle vacanze, hanno trovato l’appartamento svaligiato. E’ un giallo e fanno la loro comparsa il vicino di casa da anni, Nadar (Roberto Nobile), giudice in pensione e i carabinieri.
Con la casa ancora a soqquadro, il protagonista si trova solo con Nadar e comincia a parlare, a raccontare del suo passato, a sfogarsi: questo è il clou della terza scena. E’ proprio lui che molti anni fa aveva abbandonato la moglie per andare a vivere con una ragazza giovanissima ed ora prova dentro di sé un dolore causato da quella scelta. E’ tornato più che altro per rassegnazione che per amore dei figli, cresciuti in maniera sbandata. Un lucido cinismo si contrappone alla sincerità.
Andato via Nadar, ecco che l’uomo ora rimane solo con la moglie, ricomparsa dopo aver fatto un breve riposino per stanchezza dal viaggio. I due hanno un dialogo teso, amaro, breve che mette in evidenza il cinismo e l’ipocrisia dell’uomo, capace di mentire anche a sé stesso. La quarta scena è conclusa: Il ritratto psicologico della coppia è palese, chiaro: lui appare bugiardo, vanitoso, meschino, intelligente, mentre lei è solare, schietta, rancorosa, rigida. Un vero disastro sentimentale. Perché quel rancore dopo tanti anni? E poi perché quella casa messa a soqquadro dove non è stato rubato nulla? Neanche 50 euro in bella vista in cucina?
Nella quinta ed ultima scena tutto si svela. Ecco i figli quarantenni della coppia, interpretati dagli attori Sergio Romano e Maria Laura Rondanini. Descritti nei precedenti quadri come bambini problematici e adolescenti frustrati, ora sono un uomo e una donna con tanti problemi caratteriali. Cresciuti senza aver respirato un clima familiare pieno d’amore, anzi tutt’altro, hanno sempre respirato burrasche sentimentali, litigi ed è perciò che ora pagano con la vita un prezzo altissimo. E hanno voglia di sfogare la propria rabbia. Saranno proprio loro a mettere a soqquadro quella casa, che li ha visti infelici, arrabbiati con il mondo intero, senza gioie e affetti.
La pièce Lacci è un affresco generazionale, un quadro amaro che proietta la società del boom economico, un’analisi fredda e cinica della situazione contemporanea segnata da miseria materiale e morale.
La regia solida di Armando Pugliese trasforma il dramma familiare in un’indagine umana dai risvolti pirandelliani, facendo riflettere lo spettatore sulla ricerca di una verità sfuggente.
Gli attori sono tutti all’altezza della situazione, magistrali le interpretazioni di Silvio Orlando, ma ancora di più quella di Vanessa Scalera, ben compenetrata nel ruolo della moglie amata e abbandonata, che nostra tutta la sua rabbia nei confronti di un marito egoista e disamorato.
Sicuramente uno spettacolo da vedere, bellissimo per come è congegnato. I Lacci di Starnone sembrano candidati sia al successo di pubblico che a quello della critica, perché squarciano veli alcune volte solo sfiorati dalla prosa contemporanea.
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