Un Divo Nerone più POP che Rock

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Ci sono spettacoli che dividono i pareri a visione avvenuta e altri che dividono le opinioni prima d’aver debuttato.

Ecco: Divo Nerone – Opera Rock, che ha debuttato lo scorso 7 giugno a Vigna Barberini dentro il Palatino a Roma, con lo sfondo del Colosseo, con un’anteprima il 6 giugno, appartiene al secondo tipo, perché c’era chi era favorevole e chi contrarissimo ad utilizzare un’area archeologica così importante. Location a parte, il musical Divo Nerone – Opera Rock, che dovrebbe continuare con le sue repliche fino al 10 settembre (ogni settimana cinque repliche in inglese e una in italiano) non ha convinto né il pubblico, né tanto meno la critica. Anche se per metter su questo musical si sono adoperati vari premi Oscar che hanno cercato di fare grande quest’opera teatrale, purtroppo non ci sono riusciti. Se non ha convinto in italiano, tantomeno non ha convinto i turisti con l’edizione inglese. Gli organizzatori, come dicevamo, hanno deciso che fosse messa in scena sei giorni su sette e per cinque volte in lingua inglese. Ad assistere alla prima replica in inglese solo 300 persone, un po’ poche visto che l’ampia tribuna è stata strutturata per 3000 persone.

Molte cose, comunque, già dall’anteprima del 6 giugno, sono andate storte. Riguardo questa anteprima, gli spettatori, formati da vip, invitati, addetti ai lavori, politici, sono stati costretti a fare più di un’ora e mezza di fila per ritirare il biglietto. Poi c’è stata un’ora e mezza di ritardo dall’inizio dello spettacolo che, previsto per le 21.00, è avvenuto con questo ritardo. I motivi sono stati legati a scelte organizzative, dai controlli di sicurezza condotti prima dello spettacolo dalle forze dell’ordine, ai numerosi biglietti omaggio ai vip e agli accrediti che dovevano essere ritirati e hanno alimentato la fila lunghissima. Questi i disguidi tecnici. Ora, invece, parliamo dei vari motivi per i quali questo musical non ha convinto. Innanzitutto la musica – fondamentale in un musical – non è diventata mai memorabile, senza lasciare nulla dentro.

Più che ad un’opera rock abbiamo assistito ad un’opera pop, ma forse presentata senza avere un’idea di cosa fosse il pop; tutto è, fuorché rock, un incrocio tra Fivelandia e una parodia di tanti cantanti folk e momenti troppo trash, ad altri momenti di musica dance tipo La febbre del sabato sera, canzoncine musicate male con testi che sarebbero stati scartati addirittura per il Festival di Sanremo, melodie pop con testi semplici, banali.

Le scenografie, ideate dalla coppia Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, seppur ottime, con video riproduzioni e mobilità di scene, non sono all’altezza della situazione e la loro magia si perde assumendo più di una volta luci molto kitsch, per non parlare dei gladiatori che sono sembrati quasi quelli finti che stanno fuori dal Colosseo, cercando di catturare i passanti con foto e selfie. Bellissimi i costumi di Gabriella Pescucci. Valide le musiche di Luis Enriquez Bacalov, anche se poi lui come musicista ha fatto pochissimo, forse solo una delle tante musiche. Quelli che non hanno convinto sono stati i Migliacci, il padre Franco, autore dei testi, ed il figlio Ernesto, produttore, che forse non si sono resi conto di avere fra le mani un lavoro così ambizioso ma anche – di chi è la colpa? – molto confusionario.

Quest’opera rock, propagandata come prodotto da granturismo, poteva sicuramente trovare un’altra collocazione, che non fosse Vigna Barberini. Il palcoscenico non è poi così grande e la facciata di San Sebastiano si presta, per colpa della scenografia, ad essere grottesca, mentre la vista sul Colosseo, circondata dalla luci di Colle Oppio, è aperta solo a chi si ritrovi nei posti a destra della scena. E dire che l’area archeologica centrale, tra il Foro romano e il Colosseo, è stata anni addietro teatro di tanti appuntamenti indimenticabili.

Come è precipitata la situazione: da Vittorio Gassman, solo per citare un grande ed istrionico attore, che recitava l’orazione funebre di Antonio in Giulio Cesare di Shakespeare, davanti alla cura Iulia, al Nerone di questi giorni che balla sul palco con la sua tunichetta in attesa di un pubblico internazionale, formato per la maggior parte da cinesi e russi paganti. L’importante è che la Roma antica è ancora splendida sotto la luna d’estate.

Per carità, nulla da dire sugli attori- cantanti e sui ballerini acrobati: a cominciare dal giovane Giorgio Adamo, che interpreta Nerone, la bravissima Simona Patitucci, forse quella che più si distingue fra tutti gli attori che interpreta Locusta, Rosalia Misseri (Agrippina), Rita Pilato (Poppea), Giosuè Tortorelli (Seneca), Elia Lo Tauro (Petronio), Giancarlo Teodori (Tigellino) e anche gli altri, sono stati tutti bravissimi, ma, ahimè, non aiutati e costretti ad attenersi ad un testo non all’altezza della situazione e ad eseguire coreografie forse un po’ datate perlomeno di trent’anni fa. Ci dispiace molto sinceramente, è la pura verità, per il regista Gino Landi (un passato glorioso, 60 anni di carriera, da coreografo dei più importanti varietà del sabato sera della Rai, dalle varie Canzonissima a Milleluci, dalle collaborazioni teatrali con Garinei e Giovannini per le più belle commedie musicali: una per tutte, Aggiungi un posto a tavola, con Johnny Dorelli e ultimamente anche regista di molte trasmissioni tv e spettacoli teatrali): cosa è successo? Forse è stato costretto ad attenersi e a sottostare a certe regole non proprie?

Che dire di più di questo Divo Nerone – Opera Rock? Gli organizzatori hanno pensato ad un musical bilingue per puntare soprattutto sugli stranieri. Purtroppo, per il momento, non hanno centrato il bersaglio. Vedremo cosa succederà in estate, visto che sono previste 80 repliche. Fino al 10 settembre c’è tempo.

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