Questa sera su Italia 1 in seconda serata alle 00:26, va in onda “Funny Games”, un film del 2008 di Michael Haneke con Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Devon Gearhart, Brady Corbet. La storia è ambientata in una famiglia borghese e questa famiglia vive una vita tranquilla, il figlio ascolta dal sedile posteriore la cavalleria rusticana di Mascagni e Atalanta di Handel nell’autoradio. La casa dove abitano è al lago, con il prato ben curato, la barca a vela e i vicini gentili. Niente di più stabile, tranquillo e banale. Non fosse che Haneke usa la macchina da presa come a volerne (vivi)sezionare la vitalità. Con piani totali, dall’alto a volo d’uccello e dettagli minimali. La musica lirica e John Zorn che irrompe sui titoli di testa.
Spinto dal produttore Chris Cohen a portare negli Stati Uniti la sua opera austriaca del 1997, Michael Haneke ricalca ogni piano dell’originale in un’operazione che non può non ricordare, e lo fa volutamente, lo Psycho di Gus Van Sant. Haneke sfrutta la bravura dei suoi attori con un remake che non potrebbe meravigliare più di tanto. Così Naomi Watts, Tim Roth, Micheal Pitt e Brady Corbet, danno maggior valore alla pellicola grazie all’interpretazione.
Sbarcato in America, Funny Games, che già offriva una varietà di possibili letture, si fa ancora più stratificato. Lasciando dunque spazio alle logiche di ri-produzione, identico all’originale eppur diverso, mostra, tra le altre innumerevoli cose, come un film sia un fatto sociale e contestuale. Funny Games è un horror, in quanto mette in scena la perversione dello spettacolo dell’orrore e lo fa in maniera estrema, al punto da divenire parodico, beffa grottesca del cinema e delle sue logiche, dello spettatore e delle sue certezze. I ragazzi vestiti di bianco, sadici e col viso pulito da figli di papà, ricordano i drughi di Arancia Meccanica. Le uccisioni e la dilatazione del tempo, sono una messa in questione del nostro modo di osservare oltre che di quello di rappresentare la violenza.
Aggressivo, estenuante, critico e parodico contro le stesse critiche che mette in scena, Funny Games nel suo essere remake di sé stesso è un’opera contemporanea che acquista valore e senso di replica.
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