Questa sera su Rai 3 va in onda in prima tv “Pride”, per la regia di Matthew Warchus con Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine, George MacKay, Joseph Gilgun. Il film ha ottenuto 1 candidatura a David di Donatello, 3 candidature e vinto un premio ai BAFTA. In Italia al Box Office Pride ha incassato nelle prime 5 settimane di programmazione 1,3 milioni di euro e 149 mila euro nel primo weekend.
Il film è ambientato a Londra nel 1984, quando Joe partecipa tra mille timidezze e ritrosie al Gay Pride e si unisce alla frangia più politicizzata del corteo, già proiettata sulla successiva battaglia in difesa dei minatori in sciopero contro i tagli della Thatcher. Guidati dal giovane Mark, i LGSM (Lesbians and Gays Support The Miners) cominciano il loro difficile percorso di protesta, che li conduce in Galles, nella remota comunità di Dulais. Superata l’iniziale ritrosia, tra attivisti gay e minatori nascerà una sincera amicizia e un’incrollabile solidarietà umana.
Uno spunto narrativo dal potenziale micidiale che ha sorprendentemente atteso trent’anni prima di essere trasposto su grande schermo. Chi ha adorato i balletti di Full Monty, il sogno di Billy Elliot e le tragicomiche vicende di Trainspotting si ritroverà tra mura amiche, dove il cinico e smaliziato cinefilo difficilmente arriverà ai titoli di coda di Pride. Warchus rinuncia da subito allo stupore, sceglie l’alveo confortevole del genere codificato e lo sfrutta al massimo, puntando su un cast adeguatamente variegato (il Dominic West di The Wire a fianco di un sorprendente Paddy Considine) e giocando la propria vis comica, così come i climax drammatici, sull’accettazione della “diversità”, sia essa abitudine sessuale, estrazione proletaria o semplice provenienza gallese. Una sceneggiatura accorta, che inserisce quasi subito il pilota automatico e pigia i tasti emozionalmente giusti, senza concedersi sorprese: i traumi, i punti di svolta del plot, sono quelli ampiamente previsti. La diffidenza iniziale degli operai si tramuta in accoglienza gioiosa, specie quando i gay rivelano la loro naturale attitudine al ballo (cliché quasi imperdonabile, di cui Warchus si nutre abbondantemente), e i percorsi individuali dei protagonisti seguono il loro iter naturale, con l’immancabile figlio che trova il coraggio di fare coming out con i propri genitori e pagarne le conseguenze.
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