Questa sera su Rai 4 va in onda “Lupin III”, per la regia di Ryuhei Kitamura con Tadanobu Asano, Nick Tate, Satoshi Tsumabuki, Meisa Kuroki, Nirut Sirichanya. Sulle spalle di Kitamura Ryuhei (Versus) è caduta una responsabilità gravosa, quella di rendere carne e sangue, o per meglio dire live action, un eroe fra i più amati del mondo dei manga e dell’animazione nipponica. Nato dalla penna di Monkey Punch e in seguito modellato anche dal grande Miyazaki Hayao in alcuni tratti rilevanti, il ladro franco-nipponico Lupin III, discendente diretto di Arsenio Lupin, ha mantenuto intatto il suo fascino nei decenni. Un concentrato di spirito anni Sessanta, caratterizzazioni indimenticabili, stereotipi sul ladro gentiluomo (con sottofondo misogino) e bromance doppiamente articolata (quella tra Lupin e il sodale Jigen, così come quella tra il ladro e l’ispettore di polizia nemico-amico-figura paterna Zenigata).Una trasposizione letterale della saga in chiave live action era probabilmente inattuabile senza andare incontro a paragoni scomodi, se non impossibili da reggere. Partendo da questo presupposto, Kitamura muta l’ambientazione temporale, trasferendo Lupin e la sua banda in una contemporaneità fatta di esplosivi al plastico, mitragliatori automatici e misure di sicurezza tecnologicamente all’avanguardia. Ma per il film che Kitamura aveva in mente il personaggio di origine finisce per risultare un fardello, al di là del colore delle giacche e del suo portato di nonsense. La presenza di personaggi-chiave della serie, come il samurai Goemon, è infatti sostanzialmente scissa dalla narrazione principale ed evidentemente giustapposta ad essa per esigenze di fedeltà alla serie e riconoscibilità presso i fan. Ma una volta cambiati i nomi dei personaggi e reciso qualche legame pleonastico con l’anime, Lupin III si rivela per l’ordinario action movie panasiatico che è, con i cattivi thailandesi – due membri del cast provengono da Solo Dio perdona di Nicolas Winding Refn – e le ambientazioni hongkonghesi d’ordinanza, e una figura di ladro eccentrico come protagonista e anti-eroe della vicenda.Un film che potrebbe rientrare senza problemi nella vasta produzione minore (all’interno della ancor più vasta produzione tout court) di Miike Takashi, senza andare incontro a particolari crisi di paternità sull’opera. D’altronde l’influenza dell’ultimo e più “commerciabile” Miike si riscontra anche nelle scelte di casting, visto che Lupin e la femme fatale Fujiko Mine sono affidati rispettivamente a Oguri Shun e Kuroki Meisa – il primo convince nella metamorfosi di smorfie che lo conduce a Lupin, dove la seconda fa sfoggio più della sua sensualità che di doti recitative – già coppia in Crows Zero di Miike. Svogliato e macchiettistico un Tadanobu Asano ai minimi storici.Ma è altresì vero che se non fosse per il legame con l’anime, rimarrebbero pochi o nulli i motivi di interesse per il film di Kitamura, penalizzato da un ritmo blando e mal gestito su una durata superiore alle due ore, oltre che da sequenze action che mancano del polso (e del montaggio) necessario per renderle trascinanti. Un’operazione discutibile, rimasta irrisolta a metà del guado.
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