L’ultimo erede del teatro dialettale romano se n’è andato in punta di piedi contravvenendo al suo istrionico modo di presentarsi sul palcoscenico.
Alfiero Alfieri è stato ed è ancora per tutti noi romani il baluardo di una tradizione sostituita dalla volgarità di un linguaggio turpiloquiale e poco consono al passato della capitale.
50 anni di attività non si dimenticano facilmente e chi lo conosceva poteva contare in privato sulla bonarietà ed il suo sorriso contagioso. Aveva riportato in auge il Teatro Rossini, bomboniera della veracità capitolina, aveva cullato il sogno di tanti giovani artisti, rendendolo realtà. Nel suo parco attori hanno recitato tanti giovani che oggi sono in cima allo spettacolo. Maestro di vita e di arte, Alfiero Alfieri era stato estromesso, suo malgrado, da tutto ciò che amava più della sua vita: il palcoscenico.
Tanti anni fa lasciò il Teatro Rossini, la sua casa primaria, per ritornare a fare l’artista girovago ma con il rammarico di non essere stato compreso fino in fondo dalle autorità capitoline. Oggi quelle stesse autorità si mostrano accoglienti e pronte a mettergli a disposizione la camera ardente del Campidoglio per rendere omaggio alla voce della città e a chi era affine al suo modo di essere.
Molti lo ricorderanno nei suoi cult teatrali come Il malato immaginario di Molière e Il Marchese del Grillo, rammenteranno i suoi adattamenti dai grandi classici del teatro italiano e le improvvisazioni volte a carpire le risate continue del pubblico in sala.
Alfieri aveva la capacità di far ridere, ma anche di entrare con il suo volto e la sua mimica nella vita dei romani. Era simpatico, gaudente, talentuoso e pieno di vita. Quella vita gli è stata strappata via improvvisamente e chi gli è vicino potrà salutarlo per un’ultima volta sabato alle 15:00 nella Chiesa degli Artisti a piazza del Popolo.
Anche Carlo Verdone lo aveva chiamato per interpretare due piccoli cammei in Viaggi di Nozze e Grande Grosso e Verdone, riconoscendo il suo background artistico.
Tifoso della Lazio seguiva con intessere la domenica l’andamento della sua squadra.
Un saluto verso il cielo per un grande uomo e artista simbolo di una romanità perduta.
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