Questa sera su Rai 4 va in onda “Una luna chiamata Europa”, per la regia di Kornél Mundruczó con Merab Ninidze, Zsombor Jéger, György Cserhalmi, Mónika Balsai, Andras Balint. Il giovane immigrato Aryan viene ferito mentre attraversa illegalmente il confine ungherese. Terrorizzato e in stato di shock, capisce di aver acquisito il potere di levitare a comando. Costretto ad entrare in un campo di profughi, verrà notato dal dottor Stern, un medico che vorrebbe cercare un modo per sfruttare il suo straordinario segreto. Kornél Mundruczó decide di occuparsi di un tema particolarmente scottante in Europa (a cui fa riferimento nel titolo in quanto una delle lune di Giove ha avuto il nome del nostro continente) e ancor di più nel suo Paese, l’Ungheria che ha alzato barriere ai propri confini e rifiuta qualsiasi politica di accoglienza. Questo deporrebbe a favore di un film che mostra come la corruzione domini a Budapest e dintorni e tocchi tutte le classi sociali (il denaro compare a ripetizione e si rivela necessario anche per trovare una stanza in un hotel prestigioso altrimenti ‘completo’).
Il problema nasce con la volontà del regista di voler consolidare la propria narrazione con una trovata che vorrebbe essere efficace “è poetica” ma si rivela invece come un boomerang. Per evitare che il ‘migrante levitante’ non si limitasse ad essere un drone umano capace di atletici capovolgimenti aerei sarebbe stata necessaria una regia visionaria alla Van Dormael, dote che a Mundruczó manca in toto.Rivela di esserne in fondo consapevole anche lui stesso nel momento in cui si sente in dovere di far declinare da un personaggio la morale della favola ricordandoci che viviamo in un mondo in cui abbiamo rinunciato a guardare verso l’alto accontentandoci di una dimensione orizzontale. Il film finisce così per mostrare due anime.
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