Questa sera su Rai Premium va in onda “I Vichinghi”, per la regia di Claudio Fäh con Tom Hopper, Ryan Kwanten, Ken Duken, Charlie Murphy, Ed Skrein, Anatole Taubman.
In Italia al Box Office I Vichinghi ha incassato 595 mila euro . Cacciati dal proprio regno e quindi in cerca di conquiste per una nuova libertà un esiguo gruppo di vichinghi viene sballottato da una tempesta che ne devia il percorso. Dovevano arrivare in Gran Bretagna ma naufragano in Scozia. Scoperto con il primo scontro (e il primo accento) il luogo in cui si trovano, con vichinga rassegnazione prendono atto di essere nel luogo peggiore: dietro le linee nemiche. Comincia così una lunga corsa (con un ostaggio che si rivelerà una risorsa) contro tutti per rimanere vivi e, in qualche maniera, fuggire da quella terra.
Non è né vuole essere in alcun modo una visione raffinata della mitologia vichinga questa coproduzione svizzero-tedesca-sudafricana guidata da Claudio Fäh e in quest’onestà sta il suo primo pregio. Nel mettere vichinghi contro scozzesi con un pretesto di un’ingenuità che scalda il cuore, I vichinghi non si prende l’incomodo nemmeno di far scontrare due visioni di mondo, giacchè all’interno di ogni fazione sono presenti diverse spinte ideologiche e gran parte degli assalti sono portati avanti da un gruppo di mercenari. Nel suo essere un film in continuo movimento, partito nella nebbia dell’infuriar d’una tempesta e protratto lungo una terra sconosciuta, in costante fuga da un nemico che incombe come la morte che rappresenta, I vichinghi si guadagna la stima. Con il mare ad iniziare e chiudere la parabola I vichinghi non intende avere un briciolo di plausibilità negli scontri ma vuole muoversi all’insegna della forza e dell’ardore, come se il regista svizzero avesse preso il successo di Il trono di spade e gli avesse sottratto i dialoghi arguti, gli intrighi, la sofisticazione dei colpi di scena e qualsiasi intellettualismo per ridurlo ai suoi minimi termini e poi alimentarlo con benzina ad alto numero d’ottani. Bisogna lasciare il cervello a casa per divertirsi ma non le viscere, che vengono scosse di continuo e con sapienza, in un furioso avvicendarsi di asce ed esaltazione, tricipiti e capelli unti, scenari ampi e score esaltato dal genere che più si ciba di quella mitologia: il metal (nel film è presente anche Johan Hegg, cantante degli Amon Amarth).I vichinghi, film fieramente coatto, rispolvera il senso del cinema come macchina di corpi in movimento, l’esaltazione dell’essere umani e il piacere del racconto avventuroso (diverso da quello più semplice d’azione), fondato sulla scoperta di una meta nuova, l’arrivo in uno scenario alieno e l’esplorazione di una landa misteriosa (in questo caso solo per i protagonisti).
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