Questa sera su Canale 5 va in onda in prima tv “Il richiamo della foresta”, per la regia di Chris Sanders con Harrison Ford, Omar Sy, Dan Stevens, Karen Gillan, Bradley Whitford, Colin Woodell. In Italia al Box Office Il richiamo della foresta ha incassato 1,1 milioni di euro. In California, a fine ‘800, il grosso cane Buck vive nella fattoria di un giudice.
Rapito per essere venduto come cane da slitta per i cercatori d’oro del Klondike, Buck si ritrova in Alaska, rinchiuso in gabbia e addestrato alla legge del bastone. Acquistato da un francese che consegna la posta negli avamposti dei cercatori d’oro, entra in una muta di cani e in poco tempo, coraggioso e possente, ne diventa il capo. Quando però il postino perde il lavoro, viene acquistato da un feroce viaggiatore in cerca di fortuna. Salvato dall’eremita John Thornton, Buck trova finalmente un amico con il quale spingersi nelle profondità delle terre selvagge. Qui sentirà sempre più forte Il richiamo della foresta e si unirà a un branco di lupi, senza però dimenticherà l’affetto per il suo anziano padrone. Prodotto dalla Twentieth Century Fox, da poco acquisita dalla Disney, scritto da Michael Green (autore di script ben più complessi, come quello di Blade Runner 2049) e diretto da Chris Sanders, già regista di Dragon Trainer e qui decisamente meno abile nel gestire il tema del rapporto fra uomo e animale, Il richiamo della foresta è il frutto di un’operazione prettamente commerciale: a suo modo efficace, inevitabilmente modesta.
L’adattamento del romanzo di London è improntato a una normalizzazione dei suoi passaggi più controversi: la violenza su Buck della «legge della zanna bianca e del bastone» è solamente accennata e mai mostrata; l’istinto animale del cane non è quasi mai anche un istinto di morte; il personaggio del postino volenteroso e ritardatario (interpretato da Omar Sy) è inventato e porta il racconto sui binari dell’avventura sentimentale. John Thornton non è un cercatore d’oro come tutti i maschi adulti dello Yukon a fine ‘800, ma un eremita che nel finale diventa un solitario idealista alla Thoreau al quale Harrison Ford cerca di dare la monumentalità tragica dei personaggi di London.
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