Questa sera su Rai Movie va in onda “L’alba del pianeta delle scimmie”, per la regia di Rupert Wyatt, con James Franco, John Lithgow, Freida Pinto, Brian Cox, Tom Felton, David Oyelowo. La vicenda inizia nei laboratori di un’azienda farmaceutica di San Francisco, dove il giovane ricercatore Will Rodman sperimenta su degli scimpanzé gli effetti di un virus in grado di potenziare i ricettori neuronali e di fornire una possibile cura per l’Alzheimer. Una di queste cavie mostra lo sviluppo di un’intelligenza superiore alla media, ma viene abbattuta assieme alle altre dichiarando fallito l’esperimento quando risponde con aggressività ai tentativi dei medici di sottoporla a nuovi test. Lascia tuttavia nei laboratori un piccolo cucciolo, che Will decide di risparmiare alla soppressione e di accogliere in casa propria. Il tempo passa e dopo qualche anno lo scimpanzé, soprannominato Cesare, dimostra delle straordinarie capacità cognitive, imparando in fretta il linguaggio dei segni e raddoppiando il proprio quoziente intellettivo anno dopo anno. Ma con il suo cervello, cresce anche il bisogno di relazionarsi con un ambiente libero e con una specie all’altezza che non lo tratti da bestia o da mostro. Continui omaggi, rimandi e citazioni alla serie originale del film del 1968, non costituiscono mai nostalgiche strizzatine d’occhio, quanto agganci per stupire e muoversi verso altre direzioni. Da questa ibridazione fra tragedia classica e romanzo gotico, fantascienza anni Settanta e horror da drive-in, il regista britannico dà vita a un dinamismo visivo che gli permette di muoversi in sintonia più con l’agilità di una scimmia ribelle che con quella di un giovane scienziato con troppi sogni. Tanto che è esattamente nel passaggio fra i due atti che si realizza la svolta del film: una “rivoluzione” del punto di vista che rovescia il posto dei buoni e dei cattivi rispetto alla saga originale.
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