Questa sera su Italia 1 va in onda “Sherlock Holmes: gioco di ombre”, per la regia di Guy Ritchie con Robert Downey Jr., Rachel McAdams, Jude Law, Mark Strong, Eddie Marsan, Robert Maillet.
Sul finire dell’Ottocento, Londra è una città affascinante e pericolosa. Le novità tecnologiche attirano i cittadini più curiosi, ma il richiamo per l’occulto e il soprannaturale è altrettanto forte.
Quando Sherlock Holmes e il fido dottor Watson consegnano l’assassino di giovani donne Lord Blackwood alla giustizia e, dopo aver assistito all’esecuzione capitale, assistono non di meno alla sua apparente resurrezione, Holmes è felice di potersi finalmente interessare di qualcosa alla sua portata. Tanto più che si è ripresentata a lui la bella Irene Adler, chiedendo il ritrovamento di un uomo che si scoprirà interrato nella bara di Blackwood.
I casi si intrecciano, si aggrovigliano, sporcano gli abiti di fumo e di avventura.
Guy Ritchie punta su un indirizzo ambizioso: 221B, Baker Street. Lente d’ingrandimento alla mano, smette di farsi sedurre dall’eccentricità per accumulazione (i tanti personaggi delle pellicole precedenti) e la trova, purissima, per “concentrazione” nella figura di Sherlock Holmes, così come fece capolino inizialmente sulle pagine di Conan Doyle, prima di rifarsi trucco e parrucco in seguito alle ingerenze dei lettori, della storia, della leggenda e del cinema stesso.
Seconda, ma intimamente connessa, viene la scelta degli interpreti: il nuovo Holmes emerge, coerente e vigoroso, dalla zona di intersezione e sovrapposizione tra le caratteristiche romanzesche del detective di Conan Doyle e quelle reali e “biofilmografiche” di Robert Downey Jr., talento istrionico, uomo intelligente e contraddittorio, paladino iron(ico), non privo di invadenti fantasmi e noti (alle cronache) trascorsi.
Al suo fianco, Jude Law è un dottor Watson con personalità, un passo indietro in quanto a genialità e spavalderia ma complice sincero, coinquilino avvenente, braccio (destro) e spalla (fuori e dentro la finzione) che valgono bene una scenata di gelosia, un tocco di isterismo, una manciata di voluta ambiguità. Rachel Mc Adams, infine, è “la donna”, furba e traditrice, unica fonte femminile di interesse per il nostro, in quanto caso irrisolvibile, abitante di quel territorio del diavolo – la criminalità elegante e scaltra – con cui il protagonista flirta tanto piacevolmente. Ma uno più uno, questa volta, non fa un due pieno.
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