Questa sera su Rai Movie va in onda “L’angelo del male”, per la regia di David Yarovesky con Elizabeth Banks, David Denman, Jackson A. Dunn, Matt Jones, Meredith Hagner. In Italia al Box Office L’Angelo del Male – Brightburn ha incassato 438 mila euro.
Brightburn, Kansas. Tori e Kyle Breyer sono una coppia che cerca invano di avere un figlio, pur dedicandosi al tentativo con impegno e convinzione. Una notte, qualcosa precipita nei pressi della loro fattoria. Detto fatto, i Breyer hanno un figlio, al quale danno il nome di Brandon. Anni dopo, Brandon ha dodici anni ed è un bambino introverso e particolare. A scuola è bravo, ma non proprio popolare tra i compagni. Inoltre, Brandon sembra attirato da qualcosa che si trova nel sotterraneo di una rimessa della fattoria di famiglia. Ma sembra anche avere una forza insospettata, di cui lui stesso si sorprende per primo. Tori comincia a preoccuparsi e cerca supporto psicologico per Brandon. In realtà, le cose sono molto più complesse: Brandon prende coscienza dei suoi super poteri e di non essere per niente normale. Comincia perciò ad agire come un super eroe, ma da ciò conseguono problemi seri per tutti. Da un lato la presa di coscienza di Brandon delle proprie super capacità e dall’altro lo sconcerto e le preoccupazioni dei genitori che devono confrontarsi con qualcosa di insospettato e terribile. Anche il legame tra Brandon e la propria natura aliena, rappresentata da ciò che è nascosto nella rimessa, è un aspetto interessante che richiama suggestioni lovecraftiane di indubbio fascino.
L’idea di prendere le classiche origini del più classico dei super eroi e utilizzarle per una revisione radicale della prospettiva è brillante. Anche il fatto che Brandon, quando si rende conto della propria natura, prenda a indossare, all’occorrenza, una sorta di rudimentale costume da super eroe rende bene l’idea del gioco sviluppato dal film sull’identità e sulla vera natura di ciò che un super eroe davvero è o può essere, soprattutto in relazione a chi super eroe invece non è. In sostanza, il film si rivela una riflessione per certi versi acuta – soprattutto di questi tempi, anche cinematografici – sul superomismo e sulle storture che il concetto stesso può generare. Certo, è una riflessione che resta un po’ in superficie e avrebbe meritato di essere maggiormente approfondita, ma anche così, pur se sbrigativa, resta abbastanza valida.
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