Questa sera su Iris va in onda “Woman in gold”, un film di Simon Curtis con Helen Mirrer, Ryan Reynolds, Daniel Bruhl, Katie Holmes e Tatiana Maslany. Il film ha ottenuto 1 candidatura a SAG Awards, In Italia al Box Office Woman in Gold ha incassato 1,2 milioni di euro. Uno dei di pinti più famosi d’Austria, il ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt, è detenuto dallo stato indebitamente, in seguito al sequestro operato dai nazisti ai danni dei legittimi proprietari, una famiglia ebrea. Alla fine degli anni ’90 la morte di una delle due sorelle ultime eredi della stirpe, fa scoprire all’altra l’esistenza di una lotta per riavere il quadro, proprio in coincidenza con la decisione dello stato austriaco di inaugurare una politica di restituzione delle opere d’arte rubate dai nazisti.
Determinata a riavere il quadro come forma di risarcimento per tutto quello che lei e la sua famiglia hanno subito dagli austriaci, Maria Altmann, da decenni residente in America, si reca in loco con un avvocato e scopre che in realtà lo stato non vuole assolutamente dare via il suo quadro più importante. Parte così una battaglia legale di Davide contro Golia.
Dietro a Woman in gold c’è un po’ del film Philomena, il sorprendente film di Stephen Frears del 2013. Nella vera storia della dolce anziana Maria Altmann e del suo desiderio di ottenere giustizia, coadiuvata da un avvocato inizialmente poco convinto, non è difficile riconoscere la struttura del film con Steve Coogan e Judi Dench. Simon Curtis non è però Stephen Frears, nè i suoi sceneggiatori sono all’altezza della sagacia di Steve Coogan e Jeff Pope. Nelle loro mani questa materia molto popolare si scioglie nella ruffianeria, invece che brillare nell’equilibrio tra intelligenza di scrittura e equilibrio narrativo.
Pensato tutto intorno a Helen Mirren, il film si sofferma solo su di lei, si affida alla sua capacità di comunicare ogni stato d’animo. Woman in gold si limita a lasciarsi guardare e dimenticare, senza trasformare la vera storia in grande epica oppure in piccola e toccante quotidianità, senza cioè individuare nelle pieghe della vita reale qualcosa sul quale porre la propria attenzione. Simon Curtis sembra documentare l’accaduto (romanzando quando serve) invece che mettere la lente d’ingrandimento su cosa, in tutti questi eventi, sia in grado di suggerire più dei semplici fatti esposti con simpatia.
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