Questa sera su La5 va in onda “Colpa delle stelle”, per la regia di Josh Boone con Shailene Woodley, Ansel Elgort, Laura Dern, Sam Trammell, Nat Wolff, Willem Dafoe. Il film è l’adattamento per il grande schermo del celebre e omonimo romanzo di John Green. In Italia al Box Office Colpa delle stelle ha incassato nelle prime 5 settimane di programmazione 5,2 milioni di euro e 153 mila euro nel primo weekend.
Hazel Grace ha 17 anni e vari tumori disseminati fra la tiroide e i polmoni. Augustus Waters ha 18 anni e una gamba artificiale, dovuta ad un incontro ravvicinato con il cancro osseo. Il loro è un colpo di fulmine, e ciò che li accomuna, assai più che la malattia, è il modo di vedere, e affrontare, la vita: con un sarcasmo mai incattivito e una parlantina densa di vocaboli complessi e fortemente evocativi.Ciò che fa la differenza, nel best seller di John Green come nel film basato sul romanzo, è il “come raccontare una storia triste”: nel caso di Colpa delle stelle, attraverso le voci di Hazel e Augustus e il loro tono disincantato ma mai rassegnato fino in fondo. Il film, come il romanzo, sposa la loro visione del mondo, e fa innamorare gli spettatori dei due protagonisti rendendoli non oggetto di compassione (o di emulazione eroica) ma di empatia, e trattando la loro storia in modo non diverso da qualunque altro primo amore, ricco di quel respiro di assoluto e quell’idea di “per sempre” che li distingue da tutti quelli che li seguiranno (o no).
Josh Boone mette in scena il romanzo di Green con estremo rispetto e in punta di piedi, senza commettere l’errore di alterare fatti o personaggi in funzione del passaggio al grande schermo e senza prendersi libertà autoriali, il che soddisferà i fan del libro ma colloca il film in un terreno di grande (forse eccessiva) cautela. Ansel Elgort è un Augustus appropriatamente impacciato e spaccone, e centra a perfezione quel sorriso di cui si parla per tutto il romanzo, a metà fra la seduzione e lo scherno. Shailene Woodley è di una dolcezza disarmante e di una sensibilità intelligente immediatamente intuibile attraverso il suo sguardo mobile e attento. Anche l’interazione fra i due attori appare spontanea e naturale, senza eccessive contraffazioni cinematografiche. E il casting di Willem Dafoe nei panni del cinico scrittore Peter Van Houten è un colpo maestro (nonostante la diversità fisica fra l’attore e il personaggio letterario): in poche scene, Dafoe aggiunge tutto il sotto testo doloroso che il romanzo impiega svariate pagine a comunicare.
Peccato per la continua sottolineatura musicale a base di teen soft rock che appartiene più alle dramedy televisive che al grande schermo. Ma è un difetto da poco per un film che soddisferà i fan del best seller letterario, più gratificati dalla fedeltà ai loro “eroi di tutti i giorni” che manipolati dalla macchina hollywoodiana.
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