Questa sera va in onda su Sky Cinema Action “Transformers 4 – L’era dell’estinzione”, per la regia di Michael Bay con Mark Wahlberg, Stanley Tucci, Kelsey Grammer, Nicola Peltz, Jack Reynor. Cinque anni dopo i disastrosi eventi che hanno devastato Chicago, trasformandola in un campo di battaglia, la CIA ha segretamente deciso di mettere fine alla presenza dei Transformers sul suolo terrestre. Persino il leader degli Autobot, Optimus Prime, è costretto a nascondersi, almeno finché Cade Yeager, un inventore temerario ma sfortunato, finisce per ritrovarlo accidentalmente.
Può sembrare irriverente o provocatorio cercare tracce di un discorso meta-filmico nell’epopea robotica di Michael Bay, ma ripartire da una sala cinematografica in rovina, dà un’immagine che dopo The Canyons di Paul Schrader è divenuta topos persistente, non è una scelta che appartiene al caso. Anche perché poco o niente appartiene al caso in un universo come quello di Michael Bay, guidato dalle esigenze commerciali o dall’ambizione di tenere saldamente in pugno il bisogno di cinema adrenalinico dei teenager. Persino gli scivoloni di sceneggiatura, sovrabbondanti nei 165 minuti di Transfomers 4, o gli accenni a derive filosofiche, che lasciano trapelare una cosmogonia dalle gerarchie ancora misteriose, sono perfettamente funzionali al procedere di una macchina che è mirabile anche nella sua imperfezione. Che deve inciampare, cadere a pezzi per poi ricomporsi, come Optimus Prime e i suoi Autobot, uniti nel masochistico tentativo di insegnare alla razza umana i valori che quest’ultima tende a dimenticare. Proprio Optimus ritorna sotto forma di rottame di una civiltà passata, nascosto nel luogo più sicuro perché più dimenticato: una sala cinematografica abbandonata, con locandine di western che rimandano a un’altra idea di America e di eroismo, sepolta dalla mediocrità che troppo spesso si accompagna al progresso. Il paradosso di un tentativo, per quanto abbozzato, di messaggio morale refrattario all’evoluzione tecnologica senza se e senza ma – apparentemente antitetico al concetto stesso alla base della saga Transformers – conduce Bay verso un’affascinante contraddizione, che sposta il focus dalla Trasformazione (ed Evoluzione, come sottolinea l’incipit che ancora una volta riscrive la storia, anzi la preistoria) alla Creazione, ovvero al non visibile, non comprensibile (e non filmabile) per eccellenza.
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