Questa sera su Rai Movie va in onda “Single ma non troppo”, per la regia di Christian Ditter con Dakota Johnson, Rebel Wilson, Damon Wayans Jr., Anders Holm, Alison Brie. In Italia al Box Office Single ma non troppo ha incassato 1,9 milioni di euro.
Alice approda a New York e decide di rompere con Josh per esplorare la vita da single e conoscere meglio se stessa. L’amicizia con Robin e la vicinanza della sorella Meg, entrambe single indefesse, sembrano indirizzarla nella giusta direzione, ma ben presto Alice, anziché soddisfare il suo proposito, finisce per invischiarsi in una molteplicità di relazioni con complicazioni. Delizia di molti e croce di altrettanti, la romcom è uno dei generi cinematografici più codificati, conservatori e impervi al cambiamento in circolazione. Ma anche i più incalliti tra i suoi detrattori non possono negare al genere una capacità unica di cogliere lo spirito del tempo – declinato attraverso protagonisti e curiosi comprimari – e di creare tormentoni destinati a riemergere nei luoghi più inaspettati, salotti bene inclusi. Ogni romcom vuole veicolare un messaggio di uso “pratico” o che possa presumere di averne uno, l’idea di una nuova tendenza che meriti di essere immortalata, di una morale da veicolare sotto mentite spoglie. Come l’enunciazione dell’impossibilità di una vera amicizia tra uomo e donna in Harry ti presento Sally, o la lettura dei segni del fato in Serendipity. Addirittura La verità è che non gli piaci abbastanza ha provato a contaminare e in parte riscrivere il glossario delle relazioni sentimentali.
Tra gli elementi che maggiormente mancano a Single ma non troppo un ruolo di primo piano spetta proprio alla latitanza di un forte assunto di base. Solo il personaggio di Alice sembra intraprendere un percorso di crescita, quello di (auto)convincersi di essere single per scoprire cosa questo significhi davvero. Ma la sceneggiatura di Abby Kohn, Marc Silverstein e Dana Fox, veterani del genere, sembra più indecisa della protagonista sulla direzione giusta da prendere. Se la Johnson si applica, cercando di aderire al ruolo schivando gli stereotipi, i suoi partner e soprattutto i suoi comprimari – ruolo fondamentale di ogni romcom che si rispetti – deludono, tra una Leslie Mann che ha smarrito per strada il corrosivo humour dell’universo Apatow e una Rebel Wilson che assomiglia più a una Borat in gonnella che a una versione millennial di Samantha di Sex and the City.
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