Questa sera su NOVE va in onda “Broken City”, per la regia di Allen Hughes con Mark Wahlberg, Russell Crowe, Catherine Zeta-Jones, Jeffrey Wright, Barry Pepper. In Italia al Box Office Broken City ha incassato 969 mila euro.
Billy Taggart è un ex poliziotto di Brooklyn, convertito per necessità a detective privato. Quando il sindaco Hostetler lo ingaggia, in piena campagna elettorale, per indagare sulla moglie che sospetta di adulterio, Billy s’infila senza accorgersene in una trappola che lo porterà a fare i conti con le lusinghe e i ricatti del potere ma anche con il proprio passato e con i debiti rimasti in sospeso. La sproporzione tra la qualità delle performances attoriali in gioco e quella del copione salta agli occhi e inficia il film nella sua interezza. Come se i due contributi funzionassero a velocità diverse: mature e sofisticate le prove di Mark Wahlberg e Russell Crowe, potenzialmente perfette per dar vita ad uno scattante e imperdibile incontro sul ring, ma ingenua e perennemente in ritardo sullo spettatore la sceneggiatura. E purtroppo la dose d’ingenuità che si può attribuire al personaggio di Wahlberg, accecato da qualche pregiudizio iniziale di troppo, non è sufficiente a giustificare il gap, che permane troppo esteso e inverosimile. L’intento, chiaro e apprezzabile, è quello di inscrivere su uno sfondo alla Ellroy (il ritratto di Billy corrisponde perfettamente all’autoritratto dello scrittore, americano religioso eterosessuale di destra) una vicenda di redenzione, o meglio ancora di coscienza, e può venire alla mente, per affinità tematica, il capolavoro di Spike Lee, La 25° ora, ma è un paragone che è meglio accantonare, perché schiaccia inutilmente e senza pietà il film di Hughes. L’aspetto più interessante di Broken City è però sicuramente quello, ovvero l’arco di trasformazione del personaggio principale, perfettamente aderente al modello del detective hardboiled e dunque ai margini rispetto alla polizia ufficiale ma al centro del bersaglio quando si tratta di ammaccature dell’automobile e dell’arcata sopraccigliare, che muta da duro fuori a duro dentro, da giustiziere fai da te -incline all’abuso di potere quando serve- ad essere umano che riconosce il valore di una legge uguale per tutti e va coraggiosamente incontro al destino. È questa anche l’unica linea narrativa credibile: lo stesso non si può dire dell’affresco sulla corruzione cittadina né dei rapporti o delle dinamiche che legano le pedine dello scacchiere sociale tra loro.
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