Di Paola Aspri
È un testo di forte intensità emotiva “Lo zoo di vetro”, uno dei pilastri mondiali della drammaturgia di Tennessee Williams che si avvale di una tragedia familiare che entra nel microcosmo delle realtà di tutti i tempi, quello degli affetti più stretti e resi latitanti da un passato triste. E’ quindi difficile portare in scena un assunto che vive di gloriosi trascorsi plateali, di infinite trasposizioni, ma che rimane una grossa sfida per un regista con l’audacia di proporsi nell’ardua accettazione del dramma. Giuseppe Argirò riesce alla perfezione a mettere in scena una moderna e asciutta pièce, con attori all’altezza di evocare le disgregazioni interiori dell’essere umano e a renderli deflagranti senza disturbare, con eleganza e giusti tempi teatrali. La scelta di Argirò di fare una regia attenta ai particolari drammaturgici di Williams lo premia pienamente, aggiungendo anche una collocazione ambientale asettica, dove il bianco predomina su tutto, quasi a purificare e ricordare da dove veniamo. L’integrità morale dei personaggi è collocata in uno spazio bianco, dove tutto accade e dove tutto si muove fino a rimettere in discussione le scelte di vita. La trama è quasi sempre lo specchio del vissuto del demiurgo che ripropone spesso nei suoi scritti la figura femminile di sua sorella, fragile e malinconica, abbandonata ad un destino senza via di scampo. Ne “Lo zoo di vetro” è Laura a impersonificazione la donna dei sensi di colpa di Williams, la claudicante ragazza che vive la quotidianità chiusa in se stessa con il piccolo universo di animaletti di vetro che cura più della sua anima. Accanto a lei, Amalia, una madre ossessiva, abbandonata dal marito tanti anni prima, cristallizzata in un cliché di donna leggera, che vive di fantasie ed esteriorità illusorie e si scontra con la perenne insoddisfazione del figlio Tom, costretto a lavorare e vivere in un ambiente claustrofobico, lui che sogna attraverso il cinema di vivere avventure avulse dal reale. A impreziosire lo spettacolo l’interpretazione di Pamela Villoresi nel ruolo della mamma, che veste il personaggio con amabile ironia, con nessuna sbavatura recitativa, nonostante gli sbalzi umorali del suo carattere. Elisa Silvestrin si propone con una fisicità perfetta, adattandosi al difetto che il personaggio richiede e con una modalità recitativa mite e implosiva, brava nel non eccedere mai, in contrasto con gli altri caratteri. Alberto Caramel e Maurizio Palladino sono diversi ma compatibili nell’impersonificare due ruoli che viaggiano nella stessa verità, ma con uno sguardo al mondo interiore. In Tom c’è l’estro del viaggiatore mentale e fisico, mentre nell’amico Jimmy quello del sognatore disilluso, che porta dietro le patologie della famiglia, quasi lo specchio riflesso di Tom. Bravissimi entrambi nel rendere due personalità maschili, eroi tragici dell’oggi. Uno spettacolo da vedere, con le proiezioni video di Claudio Ammendola che rendono ancora più attuale e attraente il tutto. Si replica al Teatro dell’Angelo fino al 22 novembre.
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