Andare a teatro è un piacere e non un dovere e la pièce andata in scena al Teatro dè Servi il 17 e il 18 settembre riesce a convincere tutti della bontà dell’operazione e del piacere che si prova a vedere un testo e una confezione drammaturgica che diverte e fa riflettere. Continua a leggere
Andrea Standardi
Elena Russo ne “Il topo nel cortile” al Teatro Ambra alla Garbatella
StandardDi Paola Aspri
Elena Russo è la protagonista insieme a Massimo Poggio, Laura Adriani e Andrea Standardi de “Il topo nel cortile”, testo e regia di Daniele Falleri, in scena al Teatro Ambra alla Garbatella. Una tragedia familiare dove lei interpreta il ruolo di Gianna, la mamma che pretende di risolvere a modo suo un problema di sua figlia. La Russo è partenopea e porta il fuoco sudista nel sangue, ama la sua terra e oltre a portarne i colori, indossa anche quella spontaneità e ironia tipica delle donne del Sud. Tante fiction all’attivo, tra cui “Orgoglio”, “Elisa di Rivombrosa”, “Sangue Caldo”, “Rodolfo Valentino”, “Furore”.
Il tuo ruolo è quello di Gianna.
È un personaggio che non consiglio nella vita alle donne. Proprio perché lo faccio voglio lanciare qualche messaggio in tal senso. Gianna fa tutto per la sua famiglia, si prende tutte le responsabilità lasciando in disparte il marito. È una commedia che fa ridere in parte, poi la pièce comincia a prendere un’altra piega.
Spesso nelle fiction interpreti il ruolo della cattiva. Ma nella vita tiri fuori questo aspetto di te?
Purtroppo no. E poi io penso che nessuno nasce cattivo, c’è una parte in alcuni di invidia che fa sembrare cattivi.
Nelle tue interviste spesso hai affermato che nellla passione non conosci limiti, sei pazza allo stato puro.
Prima nelle interviste lo dicevo spesso, ma ora sono cambiata, anni di analisi mi hanno fatto cambiare. Avevo un aspetto irruente di me che andava controllato. Da piccolina avevo impeti forti, come avere gesti un po’ violenti nei confronti dei miei fidanzati. Si cambia.
In Furore sei nel ruolo di Sofia. Sofia Loren è il tuo mito peraltro.
Si è vero lo è ancora e lo è stato dall’età di sei anni.
Qual è il ruolo che prediligi tra quelli interpretati nelle fiction?
Deve ancora venire, perché amo tanto questo lavoro che continuo a innamorarmi di altri personaggi. Mi piacerebbe però interpretare una monaca di monza, ma mi mancano ancora tanti altri caratteri.
Ti piaci come donna
Adesso si, da piccola ero complessata, ero convinta di non essere all’altezza. Oggi sono una felice quarantenne che sa di poter piacere senza eccedere.
Cosa ti è rimasto di Napoli?
Ognuno di noi ha delle caratteristiche di appartenenza e Napoli è una città dalle tinte forti. Ho combattuto per portare in scena la mia napoletanità, ma avevo paura di non essere capita e ancora oggi alcune battute non posso farle anche se ho vinto in parte la scommessa di essere un’attrice con il mio incipit partenopeo.
Qual è il piatto che prediligi?
La caprese, ma non ho ancora trovato il ristorante che la faccia bene a Roma.
Al Teatro Ambra alla Garbatella: “Il marito di mio figlio”
StandardDi Paola Aspri
Uno spettacolo scoppiettante dai ritmi frenetici e battute al fulmicotone, così si presenta “Il marito di mio figlio”, in scena in questi giorni al Teatro Ambra alla Garbatella. Lo spettacolo scritto e diretto da Daniele Falleri assume delle connotazioni attualissime per risultare accattivante e soprattutto giusto nei riguardi di una situazione che in Italia è ancora in alto mare. Si parla di unioni civili e di situazioni che rischiano di scoppiare per un conformismo di maniera che aleggia nelle famiglie, mettendo in discussione l’amore con la “A” maiuscola. La storia di Giorgino e Michele, ribattezzati George e Michael per un tributo al grande cantante pop, è quella di due ragazzi che sono presi d’amore e vorrebbero coronare il loro sogno sposandosi a Madrid, ma tutto diventa difficile e contrariato quando ci sono di mezzo i genitori, compressi dai pregiudizi e dall’ipocrisia tutta italica che mette al primo posto la facciata da mulino bianco. È inutile raccontare la storia che porta ad un happy end coronato dai fiori d’arancio, quello che interessa sono le dinamiche comportamentali dei vari personaggi, ognuno con una storia alle spalle e che è evocata in alcuni momenti con riflessioni interiori al di fuori degli spazi collettivi in cui i personaggi sono costretti ad interagire. Attimi che riflettono le debolezze dei caratteri che nella vita giocano un ruolo attivo e di forte intensità. Daniele Falleri nel mostrare le fragilità anche dei genitori dei ragazzi li fa sembrare simili ai giovani protagonisti, mettendo così in dubbio la loro integrità morale che nella vita è velata da una doppia personalità. Determinante per la pièce sono gli interpreti tutti bravissimi e in grado di far decollare uno spettacolo dove i dialoghi sono mordaci, attuali e generosamente scolpiti sui ruoli, quasi a determinare un’atmosfera almodovariana. Eva Grimaldi è la moglie di Pietro De Silva, genitori sulla scena di Ludovico Fremont. La coppia in questione è perfetta per dare vita ad una donna pop, eccentrica nel look che nasconde una doppia vita per noia maritale. Il marito in questione, Pietro De Silva, è un uomo che alla fine si metterà in discussione cambiando la sua vita attuale. Andrea Roncato è un uomo rude e maschio che si trova ad avere accanto una moglie (Pia Engleberth) con un look da suora mistica, entrambi genitori di Andrea Standardi, conformisti e poco attenti al presente e ai suoi rivoluzionamenti sessuali. Ludovico Fremont e Andrea Standardi sono in armonia nell’evocare una coppia gay contrariata dalle sorprese familiari. Una menzione particolare per Roberta Garzia nella parte di Lory, una cameriera/attrice, una ex che torna nella vita di uno dei giovani gay e che scombina il nuovo nucleo, con la complicità della madre di uno dei due che vuole confermare l’eterosessualità del figlio. Assolutamente bravissima nel regalare momenti di svampita esteriorità che alleggeriscono i momenti di tensione che vanno a crearsi per incomprensioni sentimentali. Le scene sono di Alessandro Chiti, in linea con le tematiche in atto, luciferine, psichedeliche e pop come si addice ad una storia dove le luci della vita cambiano al ritmo di un secondo. Bravissimo Daniele Falleri nel mettere in scena un assunto meno sfilacciato e più definito rispetto alla versione di due anni fa quando sulla scena c’era la bravissima e compianta Monica Scattini. Un grande parterre per il debutto di ieri sera, dove erano presenti Gabriel Garko e la sua compagna Adua Del Vesco, Adriana Russo, La Marchesa D’Aragona, Antonio Paris, Il Principe Urbano Barberini, La Principessa Conny Caracciolo, Giulia Elettra Gorietti e tante altre personalità del mondo del mondo dello spettacolo. Si replica fino al 29 novembre.
“Milano non esiste”, in scena al Teatro dè servi
StandardDi Paola Aspri
Su “Milano non esiste”, è la nostalgia del passato a diventare il tema ricorrente della pièce e Roberto D’Alessandro ne diventa il testimone ideale per sviscerare gli stati d’animo di un meridionale in cerca delle sue origini.
Tratto dall’omonimo romanzo di Dante Maffia, lo spettacolo in questi giorni al Teatro dè Servi, è un mix di valori dimenticati, messi a confronto con la realtà robotica di una grande città come Milano.
A fare da sfondo agli stati d’animo dei nostri giorni, una famiglia italiana, il cui patriarca è un calabrese prossimo al pensionamento, che vede la fine dei suoi giorni lavorativi in fabbrica come una liberazione per riappropriarsi del tempo perduto.
Il tempo perduto è la sua terra, il ritorno è ostacolato dai cinque figli e da una moglie milanese doc. La rabbia è tanta che esplode quando sente l’ostilità di un nucleo che non capisce i suoi desideri e le sue richieste.
Un finale amaro spiega come la realtà distrugga le relazioni del trascorso, mostrando le pecche di un presente ostile ai propri valori primari.
Portato in scena lo scorso anno da Roberto D’Alessandro che ne è il regista e ha adattato il testo, rispetto alla scorsa edizione mostra una maggiore dinamicità nella recitazione e nello snodo tramatico.
Pur essendo una pièce dai risvolti drammatici, fino alla fine non svela la sua amarezza di fondo, evocando una divertente disarmonia tra i personaggi che genera ilarità negli spettatori.
Nonostante la lunghezza dello spettacolo, non si rischia di rimanere invischiati nella perdita di interesse, grazie alla tenuta registica di D’Alessandro e alla sua recitazione, sempre in bilico tra attenzione estrema alle sfumature del personaggio e alla giocosa improvvisazione che lo contraddistingue.
Inoltre il gruppo di attori che lo contorna è al passo con la sua vivacità. I caratteri che si susseguono sul palcoscenico, denunciano la differenza e la complementarità di una società giovanile sempre più alla ricerca dei falsi miti e di omologazione di massa.
Daniela Stanga, è la giusta moglie di D’Alessandro in scena, una perfetta milanese che tende a mettere d’accordo l’istinto e la ragione, subendo a volte l’irruente passionalità meridionale del marito.
Annabella Calabrese è nelle corde di un ruolo di una figlia che vuole fare la velina, tutta mosse e trovate parodistiche che strappano più di una volta il sorriso della platea. Ma i siparietti fanno parte di una messinscena dove anche gli altri interpreti come Riccardo Bergo, Sara Borghi, Domenico Franceschelli e Andrea Standardi danno il meglio di loro, in accesi dibattiti, dove sono messi a confronto le differenze sociali ed economiche di ognuno, nonché le proprie aspirazioni. Le accese trovate di Sara Borghi, una figlia dedita al recupero degli extracomunitari, sono un diversivo brillante per strappare qualche risata in più. Da vedere. Fino al 2 novembre.
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