Di Paola Aspri
Visionario, surreale, folle nella sua dinamica teatrale, giocosamente irrisolto come i suoi personaggi, eppure ineccepibilmente attraente, pur non essendo perfettamente in linea con le altre commedie in scena nei vari teatri romani.“Mortaccia”, in questi giorni al Teatro Ghione, già dal primo quadro dona una visione di contraddittoria messinscena.Non è un caso se nei primi attimi dello spettacolo, lo spettatore rimane interdetto per i tanti input visivi e attoriali che si sovrappongono in una storia disordinata ma interessantissima. E’ tutto voluto e il risultato finale è certamente un gioco collettivo molto affascinante, come chi lo interpreta. Il testo e la regia sono di Giovanna Gra che ha preso spunto da una novella di Pasolini per creare un assunto diverso e assolutamente innovativo per il teatro. Certe intuizioni registiche prendono spunto da Tim Burton. Quando Veronica Pivetti appare sulla scena il suo vestito e il trucco sembrano provenire dal film “The Rocky Horror Picture Show”,ma anche i manga giapponesi fanno parte di questa folle evocazione teatrale, dove ogni cosa è attuabile se c’è una funambolica attrice come la “Prof”. Tutto gira intorno alla morte, pardon a “Mortaccia” che non poteva che incarnare la Pivetti con la sua ludica recitazione, perfida matrigna della scena, almeno in questo caso. Ad accompagnare la morte, Funesta e Sentenza, interpretati da Oreste Valente e Elisa Benedetta Marinoni, degni e bravi conpagni di palcoscenico. I costumi danno modo alla platea di intuire e viaggiare sulla difficile lingua del testo, quasi a sdrammatizzare attraverso il costume il tema ricorrente: il lutto permanente. Quello che è ascoltato potrebbe essere interpretato come irreale, ma invece rispecchia una indagine fatta sull’uomo da chi vuole la sua fine. La morte diventa così una filosofa della vita e dei suoi abitanti, ne carpisce le brutte abitudini e alla fine scopre di essere meno cattiva e crudele dell’essere umano, quasi a mettere in dubbio il suo ruolo di fine eterna. Le luci sono sapientemente usate sugli attori, colori violacei che vanno a scalfire i volti dei personaggi, a scavare sulla loro perfida verità. La pièce è cucita addosso a Veronica Pivetti, solo una attrice come lei può riuscire a spiegare “Mortaccia”, un assunto complicato, frammentario, che trova mirabilmente la chiave di svolta quando la protagonista canta e si muove come su un musical, senza tentennamenti e con la giusta consapevolezza che può permettersi tutto, anche di far apparire la morte come una bella vacanza con un ritorno incerto. Da vedere. Si replica fino al 26 ottobre.