di Paola Aspri
Visionario come non mai, affascinante, seducente come una bella donna che ti sorprende con la sua imprevedibilità. Così appare agli occhi di chi sa riconoscere l’arte, “Arancia Meccanica” di Anthony Burgess, portato sulla scena dal coraggioso, ma talentuoso Gabriele Russo. I suoi effetti speciali sono evidenti già dal primo quadro quando Alex, il protagonista della vicenda, appare alle prese con la cura Ludovico, i fili elettrici si allungano come delle liane insidiose fino al soffitto reggendosi sulla testa del più famoso criminale della storia del cinema e della letteratura di tutti i tempi. Le luci di questo spettacolo si confondono con le tenebre dell’anima di Alex, la sua malvagità entra in noi e ci prende dall’inizio alla fine, denunciando una realtà che ancora oggi è sotto gli occhi di tutti e ci sottopone ad una riflessione continua come il susseguirsi del tellurico movimento delle immagini della pièce. Daniele Russo, figlio d’arte di Tato Russo insieme al fratello Gabriele, è eccezionale sulla scena, ogni suo movimento e parola è in linea con il suo essere Alex, il linguaggio a tratti incomprensibile è quello dei drughi, amici di scorribande nottambule violente, dove l’unica forza è quella di sopraffare l’altro senza pietà. Finita la notte i drughi tornano alla loro vita normale, si fanno una overdose di latte, il nettare degli dei e purificano il loro corpo, ma non la loro anima nera. 51 anni sono passati dalla pubblicazione del romanzo ed è ancora così attuale e pieno di verità, tanto che Gabriele Russo ha osato riportarlo in vita teatralmente. La versione teatrale non deve far pensare al cult cinematografico di Kubrick, anche se le tematiche sono le stesse. Il pathos qui è più forte e irrompe sullo spettatore come un’onda anomala. Ad essere messo sotto accusa è il sistema che manipola l’essere umano, anche il più astuto dei criminali e lo rende vittima fino al paradosso. Alex è sacrificato ad una politica della sottomissione, lo rende cavia di una cura e lo porta ad essere l’ombra di se stesso, incapace di ribellarsi, dopo tanta cattiveria. Le scene di Roberto Crea sono ineccepibili, denunciano gli episodi con assoluta veridicità. Spesso le scatole della finzione-realtà prendono vita con dentro i personaggi della storia, evocando la violenza dei drughi nei confronti della società capitalista. Trovate sceniche fantastiche, accompagnate dalla recitazione dinamica degli interpreti, tutti bravissimi e in linea con il racconto teatrale. Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Paola Sambo, Bruno Tramice assumono personaggi e ruoli in commedia che spiazzano e ammaliano, senza alcuna sbavatura attoriale. Una menzione particolare spetta a Paola Sambo, che fa diversi ruoli tra cui il Ministro dell’interno e la madre di Alex e in entrambi mostra la perfidia e l’asciuttezza dialettica di una società senza esclusione di colpi. Brava anche Martina Galletta nel vestire diversi personaggi e a regalare un nudo d’autore, un po’ come in un quadro visionario, tra squarci di luce. Le musiche di Morgan sono un corollario perfetto a una partitura scenica che rompe gli equilibri del comune sentire. Colpo di scena finale per un personaggio che da uomo diventa manichino squarciato dal potere dei più forti. Da vedere. Si replica al Teatro Eliseo fino al 15 maggio.
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