Ci ha lasciato Pasquale Squitieri, un regista che ha fatto dei capolavori della cinematografia di impegno civile. Il ricordo va quasi sempre a Francesco Rosi a Elio Petri, ma non si può disconoscere il valore di un regista del Sud che parlava per immagini storico-politiche, ma in Italia succede quasi sempre che ci si dimentica a chi ha dato tanto nel cinema che conta.
regista
Al Teatro Sala Uno: “The Best(ia)”
StandardDi Paola Aspri
Andrea Rivera incalza sul palcoscenico come un caterpillar, proponendosi come uno stornellatore dei malesseri capitolini, gioca con le parole, le adatta e le riadatta in forma canzonettistica, accomodandosi sulle sue note.
In “The Best (ia)”, scritto e diretto dallo stesso Rivera, l’attore e musicista romano propone come sempre la sua formula accattivante, girovagando tra parole e musica tra i vicoli di Roma e gridando il malcontento cittadino, tra nonsense e assoluta veridicità. L’attore che ha conosciuto il grande pubblico con le sue interviste al citofono in “Parla con me” di Serena Dandini su Rai 3, riesce a piacere ad un pubblico colto che continua a frequentare la piazza nonostante i cambiamenti epocali e rimane fedele a se stesso senza farsi fuorviare dai cattivi consigli materialistici e consumistici della televisione. I falsi miti presi di mira a suon di stornellate da Rivera, sono un serio monito a ritornare al vecchio, ad un Pasolini che non è morto, ma solo dimenticato da chi rincorre l’apparire più che l’essere. I momenti vissuti sul palcoscenico dall’interprete sono condivisi con Matteo D’Inca, giusto accompagnatore dei quadri salienti dello spettacolo. Inoltre i video ricordano i divertenti siparietti di Rivera, interviste al citofono con gente sconosciuta, inconsapevole di essere oggetto di provocazione da parte dell’attore. Uno spettacolo che è un work in progress ed ogni sera cambia, per evitare la noia del protagonista, ma anche di chi lo ascolta, escludendo così un ripetitivo rituale come quello di un lavoro in fabbrica. Andrea Rivera da voce alla gente che non piace, quella che non appare, ma cerca una vita normale con una libertà creativa senza limitazioni di sorta. Il consiglio è di non far durare più di un’ora e venti minuti lo spettacolo, in quel caso la ripetitività potrebbe essere in agguato e far perdere lo smalto iniziale della satira popolare. Si replica al Teatro Sala Uno (Piazza di Porta San Giovanni, 10) fino al 3 gennaio e dal 7 gennaio al 10 gennaio.
Al Teatro Brancaccino: “L’arte è una caramella”
StandardDi Paola Aspri
Uno spettacolo atipico per raccontare 500 anni di arte, l’arte che ha accompagnato la nostra fantasia e classicità d’intenti, ma anche stravolto il nostro comune sentire una scultura o un quadro, se la medesima trasmette qualcosa di inestricabile ma che l’autore interpreta come universale. Ebbene, in “L’arte è una caramella”, scritto e interpretato da Carlo Vanoni, per la regia di Gian Marco Montesano, ci sono tanti collegamenti tra un artista neo classico e la pop art di Andy Warhol, anche se a prima vista possono sembrare lontani anni luce. Nello spettacolo ci sono domande irrisolte a cui si darà voce, come se considerare scultura l’orinatoio di Marcel Duchamp, tanti misteri svelati e soprattutto trattati anche con l’arte della leggerezza. Non solo parole, ma anche immagini, accompagnate da musica dal vivo, un zigzagare tra la Monna Lisa di Manet fino al letto di Van Gogh, passando tra le opere dei nostri giorni evocate nell’epilogo da 79 Kg di caramelle colorate ammucchiate in un angolo. Ma l’arte è fatta anche di cose che sembrano stupide e banali, ma che banali non sono e rientrano nella nostra arte del vivere, come le caramelle. Montesano, regista e autore e Vanoni da più di vent’anni impegnato nelle arti contemporanee, hanno messo insieme il comune estro per celebrare anche l’uscita del libro “A letto con Monna Lisa”, scritto da Vanoni con Luca Berta.
Le scene sono di Carlo Vanoni e Gian Marco Montesano. Le voci fuori campo sono di Giulia Basel. Massimo Vellaccio, Umberto Marchesani, Maresa Guerra, Luigia Tamburro, Emiliano Furlani. La fotografia è di Stefano Bozzani e le scansioni immagini di Miriam Doni. Si replica da questa sera fino all’8 novembre al Teatro Brancaccino in Via Mecenate, 2.
www.larteeunacaramella.it
Sergio Assisi racconta la sua città in “A Napoli non piove mai”
StandardDi Paola Aspri
“A Napoli non piove mai” è l’opera prima di Sergio Assisi e potrebbe non essere l’ultima dato l’impegno, lo sforzo produttivo e il risultato finale che lo fa apparire come un gioiellino in un’epoca di brutture e falsi miti.
Il film in uscita il 1 ottobre pone l’accento su una Napoli bella, solare, a volte sgarrupata, ma sempre in grado di riprendersi, come i suoi abitanti, afflitti dalla leggerezza dell’essere, ma non dalla superficialità.
Sergio Assisi che rimane l’idolo delle donne per la serie “Capri”, nonostante abbia fatto tante altre cose (tra cui l’imminente serie tv “ ”, per la regia di Stefano Reali, a fianco di Sabrina Ferilli), dimostra in questo film talento registico, attoriale e autorale, tre cose insieme che diventano una rivelazione per chi non conosceva il vero Assisi, quello non televisivo, ma impegnato, capace di raccontare una storia filmica di tradizione, con rimandi ad un cinema d’autore, come quello di De Sica (“Miracolo a Milano, L’Oro di Napoli”, potrebbero avere delle similitudini o quantomeno connotazioni con i caratteri). Il film racconta la storia di Barnaba, un vero e proprio sognatore, che ha studiato giurisprudenza ma non vuole fare lo stesso percorso paterno, ma il fotografo. Il rispetto delle regole familiari non fa per lui, è un artista a tutto tondo che gira per la sua Napoli alla ricerca di emozioni fotografiche, fino a quando decide di lasciare la famiglia e di mettersi in proprio, ma con quale soldi, se è così difficile fare l’artista? “Chi ha un sogno per Barnaba deve essere un esempio a chi non ne ha più” e allora nel suo girovagare alla ricerca di una concretezza economica per tirare avanti, incontra una restauratrice bella, venuta dal Nord che ha la sindrome di Stendhal e sogna anche lei di cambiare l’esistenza rendendola diversa come i suoi restauri, un depresso cronico, come Jacopo che è vittima della sindrome dell’abbandono. Una vicenda anche surreale, una favola, com’è nella tradizione partenopea, dove tutto diventa possibil
e, anche l’impossibile. Non è la Napoli da cartolina, neanche quella drammatica di Saviano, è quella antica, piena di generose esternazioni, tradizionalista e capace di ironizzare sui suoi vizi e sulle tradizioni. Sergio Assisi ha saputo raccontare la solarità del suo popolo, mettendo insieme tanti attori teatrali e non, da Ernesto Lama, Nunzia Schiano, Giuseppe Cantore, Giancarlo Ratti, Eliana Miglio, Luigi Di Fiore, Sergio Solli, Antonella Morea, Adelmo Togliani, Massimo Andrei, Magdalena Grochowska, Gaetano Amato, Benedetto Casillo, Antonella Romano, Lucio Caizzi, Francesco Paolantoni e Laura Schettino.
Una menzione particolare merita Valentina Corti, nel ruolo di
Sonia, una giovane attrice, capace di regalare la purezza e il candore di un perso
naggio idealista, pieno di sfaccettature, complementare alla figura di Sergio Assisi, che incarna Barnaba un uomo affetto dalla sindrome di Peter Pan. Da vedere.
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