Di Paola Aspri
Su “Milano non esiste”, è la nostalgia del passato a diventare il tema ricorrente della pièce e Roberto D’Alessandro ne diventa il testimone ideale per sviscerare gli stati d’animo di un meridionale in cerca delle sue origini.
Tratto dall’omonimo romanzo di Dante Maffia, lo spettacolo in questi giorni al Teatro dè Servi, è un mix di valori dimenticati, messi a confronto con la realtà robotica di una grande città come Milano.
A fare da sfondo agli stati d’animo dei nostri giorni, una famiglia italiana, il cui patriarca è un calabrese prossimo al pensionamento, che vede la fine dei suoi giorni lavorativi in fabbrica come una liberazione per riappropriarsi del tempo perduto.
Il tempo perduto è la sua terra, il ritorno è ostacolato dai cinque figli e da una moglie milanese doc. La rabbia è tanta che esplode quando sente l’ostilità di un nucleo che non capisce i suoi desideri e le sue richieste.
Un finale amaro spiega come la realtà distrugga le relazioni del trascorso, mostrando le pecche di un presente ostile ai propri valori primari.
Portato in scena lo scorso anno da Roberto D’Alessandro che ne è il regista e ha adattato il testo, rispetto alla scorsa edizione mostra una maggiore dinamicità nella recitazione e nello snodo tramatico.
Pur essendo una pièce dai risvolti drammatici, fino alla fine non svela la sua amarezza di fondo, evocando una divertente disarmonia tra i personaggi che genera ilarità negli spettatori.
Nonostante la lunghezza dello spettacolo, non si rischia di rimanere invischiati nella perdita di interesse, grazie alla tenuta registica di D’Alessandro e alla sua recitazione, sempre in bilico tra attenzione estrema alle sfumature del personaggio e alla giocosa improvvisazione che lo contraddistingue.
Inoltre il gruppo di attori che lo contorna è al passo con la sua vivacità. I caratteri che si susseguono sul palcoscenico, denunciano la differenza e la complementarità di una società giovanile sempre più alla ricerca dei falsi miti e di omologazione di massa.
Daniela Stanga, è la giusta moglie di D’Alessandro in scena, una perfetta milanese che tende a mettere d’accordo l’istinto e la ragione, subendo a volte l’irruente passionalità meridionale del marito.
Annabella Calabrese è nelle corde di un ruolo di una figlia che vuole fare la velina, tutta mosse e trovate parodistiche che strappano più di una volta il sorriso della platea. Ma i siparietti fanno parte di una messinscena dove anche gli altri interpreti come Riccardo Bergo, Sara Borghi, Domenico Franceschelli e Andrea Standardi danno il meglio di loro, in accesi dibattiti, dove sono messi a confronto le differenze sociali ed economiche di ognuno, nonché le proprie aspirazioni. Le accese trovate di Sara Borghi, una figlia dedita al recupero degli extracomunitari, sono un diversivo brillante per strappare qualche risata in più. Da vedere. Fino al 2 novembre.