In “Se tutto va male, divento famoso!”, il coach Gabriele Pignotta ci insegna a cavalcare il successo, senza talento”

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Di Paola Aspri

Diventare famosi non è più un problema in tempo di crisi, basta reinventarsi, approfittando di quello che la televisione offre.  In “Se tutto va male, divento famoso!”, in scena al Teatro Ghione, Gabriele Pignotta, regista e autore del testo, nonché attore,  si cala nei panni di Jacopo perdendo il lavoro in una multinazionale insieme ad altri suoi colleghi. Invece di cercare di reintegrarsi nel vecchio, guarda al nuovo con timore,  ma osando. Decide di partecipare a un talent show e riesce a coinvolgere anche gli scettici ex compagni di lavoro.

L’impresa sarà ardua, anche perché diventare musicisti dal niente e partecipare alle selezioni non è certamente da sottovalutare. Ma alla fine il coraggio verrà premiato e i social network metteranno fine al loro anonimato. Sulla scia della sua opera prima cinematografica, “Ti sposo ma non troppo”, Gabriele Pignotta ritorna a calcare la scena con temi a lui cari, come i social network, tormentone del nostro tempo, caro alla nostra quotidianità con cui possiamo ogni giorno decretare il nostro successo o declino attraverso un selfie o un video rubato.

In questo caso è il rimettersi in gioco a farla da padrone, nonostante i licenziamenti e la mancanza di fiducia nei propri mezzi. Tutto si può fare e Pignotta con una commedia semplice e di buoni sentimenti, fa sorridere, riflettere e uscire dal teatro con la voglia di avere un coach come lui, che sappia fare della nostra vita un motivo di svago e di benessere.

Bravo lui, ma anche Fabio Avaro, suo compagno di viaggio recitativo da sempre, insieme a Cristiana Vaccaro e Siddharta Prestinari, che si prestano senza tentennamenti al gioco verbale del plot e alla dinamicità che si addice allo stile del capocomico.

Aspettiamo con ansia di vedere il secondo film di Pignotta, magari non attingendo da un’altra commedia, ma facendo una nuova sceneggiatura, anche perché la fantasia non gli fa difetto, anzi si esalta tra realtà virtuale e esistenziale. Si replica fino al 9 novembre.

“Mortaccia”, al Teatro Ghione con una Veronica Pivetti straordinaria.

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Di Paola Aspri

Visionario, surreale, folle nella sua dinamica teatrale, giocosamente irrisolto come i suoi personaggi, eppure ineccepibilmente attraente, pur non essendo perfettamente in linea con le altre commedie in scena nei vari teatri romani.“Mortaccia”, in questi giorni al Teatro Ghione, già dal primo quadro dona una visione di contraddittoria messinscena.Non è un caso se nei primi attimi dello spettacolo, lo spettatore rimane interdetto per i tanti input visivi e attoriali che si sovrappongono in una storia disordinata ma interessantissima. E’ tutto voluto e il risultato finale è certamente un gioco collettivo molto affascinante, come chi lo interpreta. Il testo e la regia sono di Giovanna Gra che ha preso spunto da una novella di Pasolini per creare un assunto diverso e assolutamente innovativo per il teatro. Certe intuizioni registiche prendono spunto da Tim Burton. Quando Veronica Pivetti appare sulla scena il suo vestito e il trucco sembrano provenire dal film “The Rocky Horror Picture Show”,ma anche i manga giapponesi fanno parte di questa folle evocazione teatrale, dove ogni cosa è attuabile se c’è una funambolica attrice come la “Prof”. Tutto gira intorno alla morte, pardon a “Mortaccia” che non poteva che incarnare la Pivetti con la sua ludica recitazione, perfida matrigna della scena, almeno in questo caso. Ad accompagnare la morte, Funesta e Sentenza, interpretati da Oreste Valente e Elisa Benedetta Marinoni, degni e bravi conpagni di palcoscenico. I costumi danno modo alla platea di intuire e viaggiare sulla difficile lingua del testo, quasi a sdrammatizzare attraverso il costume il tema ricorrente: il lutto permanente.  Quello che è ascoltato potrebbe essere interpretato come irreale, ma invece rispecchia una indagine fatta sull’uomo da chi vuole la sua fine. La morte diventa così una filosofa della vita e dei suoi abitanti, ne carpisce le brutte abitudini e alla fine scopre di essere meno cattiva e crudele dell’essere umano, quasi a mettere in dubbio il suo ruolo di fine eterna. Le luci sono sapientemente usate sugli attori, colori violacei che vanno a scalfire i volti dei personaggi,  a scavare sulla loro perfida verità. La pièce è cucita addosso a Veronica Pivetti, solo una attrice come lei può riuscire a spiegare “Mortaccia”, un assunto complicato, frammentario, che trova mirabilmente la chiave di svolta quando la  protagonista canta e si muove come su un musical, senza tentennamenti e con la giusta consapevolezza che può permettersi tutto, anche di far apparire la morte come una bella vacanza con un ritorno incerto. Da vedere. Si replica fino al 26 ottobre.

“Milano non esiste”, in scena al Teatro dè servi

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Di Paola Aspri

Su “Milano non esiste”, è la nostalgia del passato a diventare il tema ricorrente della pièce e Roberto D’Alessandro ne diventa il testimone ideale per sviscerare gli stati d’animo di un meridionale in cerca delle sue origini.

Tratto dall’omonimo romanzo di Dante Maffia, lo spettacolo in questi giorni al Teatro dè Servi, è un mix di valori dimenticati, messi a confronto con la realtà robotica di una grande città come Milano.

A fare da sfondo agli stati d’animo dei nostri giorni, una famiglia italiana, il cui patriarca è un calabrese prossimo al pensionamento, che vede la fine dei suoi giorni lavorativi in fabbrica come una liberazione per riappropriarsi del tempo perduto.

Il tempo perduto è la sua terra,  il ritorno è ostacolato dai cinque figli e da una moglie milanese doc. La rabbia è tanta che esplode quando sente l’ostilità di un nucleo che non capisce i suoi desideri e le sue richieste.

Un finale amaro spiega come la realtà distrugga le relazioni del trascorso, mostrando le pecche di un presente ostile ai propri valori primari.

Portato in scena lo scorso anno da Roberto D’Alessandro che ne è il regista e ha adattato il testo, rispetto alla scorsa edizione mostra una maggiore dinamicità nella recitazione e nello snodo tramatico.

Pur essendo una pièce dai risvolti drammatici, fino alla fine non svela la sua amarezza di fondo, evocando una divertente disarmonia tra i personaggi che genera ilarità negli spettatori.

Nonostante la lunghezza dello spettacolo, non si rischia di rimanere invischiati nella perdita di interesse, grazie alla tenuta registica di D’Alessandro e alla sua recitazione, sempre in bilico tra attenzione  estrema alle sfumature del personaggio e alla giocosa improvvisazione che lo contraddistingue.

Inoltre il gruppo di attori che lo contorna è al passo con la sua vivacità. I caratteri che si susseguono sul palcoscenico, denunciano la differenza e la complementarità di una società giovanile sempre più alla ricerca dei falsi miti e di omologazione di massa.

Daniela Stanga, è la giusta moglie di D’Alessandro in scena, una perfetta milanese che tende a mettere d’accordo l’istinto e la ragione, subendo a volte l’irruente passionalità meridionale del marito.

Annabella Calabrese è nelle corde di un ruolo di una figlia che vuole fare la velina, tutta mosse e trovate parodistiche che strappano più di una volta il sorriso della platea. Ma i siparietti fanno parte di una messinscena dove anche gli altri interpreti come Riccardo Bergo, Sara Borghi, Domenico Franceschelli e Andrea Standardi danno il meglio di loro, in accesi dibattiti, dove sono messi a confronto le differenze sociali ed economiche di ognuno, nonché le proprie aspirazioni. Le accese trovate di Sara Borghi, una figlia dedita al recupero degli extracomunitari, sono un diversivo brillante per strappare qualche risata in più. Da vedere. Fino al 2 novembre.

Al teatro Brancaccino "IL MIO TESTIMONE DI NOZZE"

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Di Paola Aspri

Coraggio premiato quello di Pino Quartullo che ha adattato per la prima volta in Italia, la commedia francese di Jean Luc Lemoine. “Il mio testimone di nozze”, in questi giorni al Teatro Brancaccino per la riuscita plateale.

La pièce è stata scritta da un autore dei nostri giorni che ha trovato in Quartullo il giusto traghettatore italiano.

Ritmi intensi e battute fulminee per un assunto che mette in luce la difficoltà di arrivare al giusto traguardo matrimoniale con la convivente consolidata da anni.

In questo caso lo zampino per distruggere un prossimo matrimonio ce lo mette l’amico del cuore di Benny, Thomas, un irriverente e inaffidabile uomo che con la sua visita improvvisa, crea confusione a non finire.

Lili oltre a vedere una minaccia nell’esplosivo amico, è invidiosa e gelosa della ragazzina che lo accompagna.

Elynea, è una diciannovenne carrozzata a dovere, che esplode di femminilità lolitesca. Immaginate cosa può accadere in una coppia vicina alla fede nuziale se irrompe una simile minaccia.

Insomma un fulmine a ciel sereno che porterà a un epilogo poco prevedibile e quindi un “coup de theatre” che lascia soddisfatti il pubblico in sala.

Non è solo la trama e il dialogo a essere efficace, è anche la tenuta scenica degli attori, perfettamente in sintonia con i loro personaggi, generosamente proiettati a una collettiva armonia attoriale.

Marco Fiorini e Siddharta Prestinari sono eccezionali nel rendere una coppia all’apparenza perfetta che poi scoppia con le dovute deflagrazioni del fato.

La Prestinari è divertente, audace nel dialogo e antipatica nei giusti tempi per contrastare la verve provocante e superficiale di Monica Volpe, quest’ultima con il fisico del ruolo, una finta oca con l’istinto del buon samaritano.

Marco Fiorini e Alberto Bognanni, raffigurano due personalità maschili agli antipodi con poche affinità amicali, quando ci sono di mezzo i sentimenti.

La regia di Pino Quartullo da un tocco in più alla già brillante e riflessiva pièce, attento a non far eccedere gli interpreti in un plot dove è facile esagerare nell’esporsi.

Un ottimo equilibrio registico accompagnato da una buona partitura attoriale e alle scenografie del bravissimo Marco Raparelli, artista esperto in derivazioni fumettistiche. In questo caso il bianco e nero della scenografia non solo riporta la cifra fumettistica, ma anche quel nostalgico mondo televisivo degli anni “70”. Da vedere. Fino al 26 ottobre, il giovedi, venerdi e sabato alle ore 21,30 e la domenica alle 17,30.

“Anima Animale”, in scena al Teatro Lo Spazio

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Di Paola Aspri

Non si può non pensare alla nostra esistenza ignorando chi vive sotto il nostro cielo, calpesta la terra e ha sentimenti superiori ai nostri che uccidiamo e annientiamo la loro dignità. Gli animali rappresentato l’altra parte di noi e probabilmente quella più sensibile che non può decidere del proprio destino. Attraverso storie autentiche e scritte sotto la lente di ingrandimento di un grande autore come Luca De Bei, entriamo in un mondo fatto di dolore e di sopportazione.

 “Anima Animale”, in questi giorni al Teatro Lo Spazio si occupa di trovare un luogo dell’anima a chi ha perso la propria identità animale, per la crudeltà degli uomini.

Luca De Bei che ne cura anche la regia ha scelto Daniela Poggi per raccontare scenicamente un’altra comunità che giace sotto il gioco consumistico dell’uomo.

Non pensiamo mai oltre la nostra esistenza ad addentrarci nella realtà di un bovino, di una gallina, di un maiale, di un cavallo, di un gatto, di un cane.

La loro quotidianità può essere molto triste se ingabbiata in uno spazio limitato a contatto con condizioni ambientali che distruggono la loro crescita emotiva e fisica.

Attraverso la voce splendida della Poggi, ritroviamo la dolcezza di chi può e deve diventare il nostro miglior amico.

Gli animali ascoltano e riflettono sulle nefandezze di chi imprigiona la loro coscienza e quando trovano la libertà per la bontà di una persona che difende i loro diritti, sono capaci di devozione e riconoscenza.

Luca De Bei da voce a tutti gli animali, Daniela Poggi diventa il tramite della loro dignità.

Quello che è evocato in scena è una favola reale, ma può essere visto dai bambini come una fiaba crudele con un happy end. Tante le immagini che si stagliano dietro l’attrice, ad accompagnare il suo escursus di storie magnifiche e commoventi. Le musiche sono di Francesco Verdinelli. Da vedere sia per il testo che per la recitazione condita di humour e tragicità. Si replica fino al 19 ottobre.

 

SpettacolandoTV #2 – Daniela Poggi e Luca De Bei

Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino, coppia perfetta per “Il prigioniero della seconda strada”

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Di Paola Aspri

Non perde di smalto la commedia di Neil Simon, “Il prigioniero della seconda strada” nell’adattamento e regia di Maurizio Casagrande che ne è anche interprete insieme a Tosca D’Aquino.

Gli anni “70” sono lontani, ma le situazioni sociali del nostro tempo assomigliano alla drammaticità di quelli narrati da Simon. La perdita del lavoro è una conseguenza catastrofica dei nostri giorni e il personaggio di Mel, vestito in maniera perfetta da Maurizio Casagrande, è uno spaccato tragicomico di come la realtà cambi, quando si è disoccupati permanenti.

Il regista e attore napoletano ha una dinamicità recitativa e registica che lascia il segno, accompagnandosi alla verve esplosiva di Tosca D’Aquino.

Due partenopei che si confrontano generosamente con un cult teatrale, concepito come una sitcom in certi momenti, pur  non tradendo la morale di Simon e la sua tradizione autorale.

Il carattere di Edna è quello di una donna che cerca di accompagnare dolcemente le insicurezze e le fragilità di un marito tradito dalla società e dai suoi ideali. Forse il personaggio femminile è un po’ cristallizzato negli anni 70 per essere al passo con i tempi.

La comprensione eccessiva di Edna oggi fa un po’ sorridere, perché il ruolo della donna è diventato rampante ed aggressivo nel rapportarsi con gli altri. Il film interpretato da Jack Lemmon ed Anne Bancroft non è da confrontare ad una messinscena attualizzata e soprattutto resa più semplice ed adeguata ai tempi, anche se il filo conduttore è sempre quello della disoccupazione e del malessere di un uomo senza fissa occupazione. Da vedere per i due splendidi attori e per la versatilità della conduzione registica, con filmati che conducono in esterna, quasi un film dentro la realtà. Si replica fino al 26 ottobre al Teatro Golden.

Ecco la prima puntata di Spettacolando.